I limiti del mio linguaggio, i limiti del mio mondo

Il linguaggio verbale è alla base della vita umana. Attraverso il linguaggio si sceglie cosa vogliamo indossare e cosa no, si sceglie se si vuole studiare all’università e cosa si vuole studiare, si sceglie se andare sabato sera in pizzeria oppure no, si sceglie tutto. Il linguaggio, in definitiva, pervade ogni aspetto della vita umana ed è attraverso di esso che ci possiamo fare un’immagine del mondo. Uno dei significati possibili della citazione da Ludwig Wittgenstein “I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo“ (Tractatus Logico-Philosophicus, 5.6), è proprio quello di mostrare la stretta relazione tra linguaggio e rappresentazione del mondo. Da ciò dovremmo essere indotti a ritenere – ed è quanto di solito accade sia a livello di senso comune, sia a livello di “spiegazione scientifica” – che l’assenza di linguaggio coincida con l’assenza di pensiero, ovvero della capacità di interpretare e agire sulla realtà attraverso questo strumento caratteristico dell’essere umano. Scopo della nostra associazione è quello di ribaltare tale assunto, provando che il linguaggio verbale non coincide con la parola “detta a voce” e che esistono modalità di espressione di esso alternative e altrettanto “potenti”, cioè pienamente verbali – nel senso che la linguistica attribuisce alle lingue naturali umane -, anche in persone non in grado di esprimersi a voce, o in modo assoluto o con altrettanta efficacia e profondità.

Gli utenti dell’associazione Vi Comunico che Penso sono persone di tutte le età con disabilità molto differenti, come la Sindrome di Down, i Disturbi dello Spettro Autistico, la Sindrome dell’X fragile, ecc. Tutte queste persone sono accomunate da un grave Disturbo della Comunicazione e dalla Disprassia, disturbo della coordinazione motoria. Di fatto l’assenza, o una grave riduzione, della produzione linguistica vocale, sommata ad un disturbo di coordinazione motoria, rinchiude queste persone in un mondo senza possibilità di comunicare efficacemente i propri bisogni, i propri pensieri, le proprie scelte. Questo può produrre conseguenze disastrose nella qualità di vita di queste persone, come testimoniato dalla marcata riduzione dell’istruzione (la maggior parte termina il ciclo obbligatorio con un semplice attestato e non con il diploma corrispondente alla scuola frequentata), dalla scarsa partecipazione alla vita sociale, che si traduce in isolamento ed emarginazione. Nel loro caso, per riprendere la citazione di Wittgenstein, si dà di solito per scontato che il loro mondo sia limitato alla soddisfazione dei bisogni primari. Ma è proprio così oppure si tratta di limiti che siamo noi a imporre?

Sta di fatto che, usando strumenti compensativi e alternativi di comunicazione, abbiamo constatato che tali limiti non ci sono, ovvero non sono affatto fissi e determinati. La Comunicazione Facilitata (CF) è uno di questi strumenti, permettendo in specifico, a differenza delle cosiddette CAA (Tecniche di Comunicazione Aumentativa e Alternativa), prevalentemente iconiche, una comunicazione alfabetica e pertanto pienamente verbale. Questo è essenziale dal momento che, se un bambino di 3-4 anni può comunicare efficacemente bisogni quotidiani con scelte multiple di figure e oggetti, adolescenti e adulti sicuramente hanno necessità comunicative linguistiche ben più complesse.

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